Do not expect too much from the end of the world
di Radu Jude
Non era impresa facile per il regista romeno Radu Jude tornare a sorprendere il suo pubblico dopo Sesso sfortunato o follie porno, che nel 2021 vinse l’Orso d’Oro alla Berlinale. Anche stavolta mette la cinepresa addosso alla protagonista nelle sue peregrinazioni: lì un’insegnante liceale il cui video hot caricato on line suscitava scompiglio, qui la collaboratrice di una società di produzione, impegnata a guidare in lungo e in largo per raccogliere testimonianze di incidenti sul lavoro da utilizzare per la pubblicità progresso su prevenzione e sicurezza con cui una multinazionale intende farsi bella.
In entrambi i film si analizzano la società contemporanea, ipocrisie e distorsioni dei rapporti sociali e professionali e, nel contempo, le opportunità del mezzo cinematografico; in particolare, qui è il montaggio al centro dell’attenzione dell’autore. Girate in bianco e nero, le scorribande di Angela, sin dalla sveglia di primissimo mattino, stanca morta tra riprese dei “candidati” disabili, la madre da portare al cimitero mentre le salme dei nonni stanno per essere trasferite, si alternano a immagini di un film (a colori) del 1981 di Lucian Bratu, ritratto di una tassista donna alle prese con una realtà non meno difficile e ingrata (rivedremo l’attrice, com’è oggi, in occasione di una delle visite domestiche per le interviste, con una sovrapposizione ieri/oggi, comunismo/liberismo, spesso negli stessi luoghi a distanza di oltre un trentennio, che fa decollare la narrazione)¸si alternano inoltre ai video che Angela posta sui social, con un look maschile assicurato da un app di insulti irriverenti e sessisti, sorta di provocazione sulle asperità e stranezze del quotidiano e uno sfogo su una realtà lavorativa che impone turni di lavoro di 16 ore o più.
Si parla di montaggio e Godard, per inciso, è espressamente menzionato in una delle tante citazioni/divagazioni/digressioni che costituiscono una delle caratteristiche di un film complesso, lungo, a tratti estenuante ma estremamente interessante per ogni cinefilo, fino al pazzesco piano sequenza finale che verte sulla realizzazione dello spot.
Tra denuncia della realtà di sfruttamento, satira di un vivere in comunità ai minimi termini, Jude si conferma un vulcano di idee e di modi di metterle in scena, avvicinando la sua Bucarest a tante città occidentali, portando davanti alla cinepresa il regista Uwe Boll e l’attrice Nina Hôss (la responsabile marketing della multinazionale), in un affresco agghiacciante sulla inutile complessità del vivere nell’era digitale.
Mario Mazzetti