TATAMI
di Zahra Amir Ebrahimi, Guy Nattiv
L’israeliano Guy Nattiv ha vinto l’Oscar per il cortometraggio Skin, poi diventato un lungo, su uno skinhead che si redime grazie all’amicizia con un afroamericano (ha diretto anche il biopic Golda, destinato a rimanere inedito per un po’). L’iraniana Zar Amir Ebrahimi è stata premiata a Cannes per il crudo Holy Spider, storia vera della caccia all’omicida di donne sole e disperate costrette a prostituirsi nella città santa di Mashhad (l’attrice è riparata in Francia dopo un caso di revenge porn, per il quale è stata stigmatizzata dalle autorità iraniane). Tra loro è scattata la collaborazione, che oggi suona incredibile, per questo thriller in bianco e nero applaudito a Venezia Orizzonti: non una storia vera ma ispirata a tante storie vere, con una judoka persiana che ai Campionati mondiali in Georgia procede spedita verso la finale ma che, a causa della probabilità che possa sfidare una concorrente israeliana, subisce pressioni dalle autorità del suo paese perché simuli un infortunio e si ritiri. Il caso di Leila (Arienne Mandi), irruenta e determinata, a casa marito e figlio piccolo che ne seguono le gesta in tv, è ispirato all’arrampicatrice che rifiutò di indossare l’hijab, o alla pugile rifugiata in Francia per farsi paladina dei diritti delle sue connazionali, o ancora alla lottatrice di taekwondo che fuggì all’estero per le minacce del suo governo. Le stesse che qui le arrivano per il filtro dell’allenatrice Maryam (la stessa regista), incaricata di una sorveglianza in nome dell’ortodossia, dibattuta tra l’esecuzione degli ordini, la consapevolezza della posta in gioco, la determinazione ad agire tra i sospetti dell’ente sportivo sovranazionale e gli agenti infiltrati. Complice il bianco e nero, il montaggio serrato, le riprese dei combattimenti e i confronti negli ambienti del palasport, Tatami comunica una suspence crescente che fa scaturire dalla competizione sportiva in un ambiente chiuso (salvo pochi flashback) apparentemente protetto una metafora del rigido controllo da parte del regime iraniano, del ricatto cui si è esposti quanto più si ottiene visibilità: un’atleta di talento diviene una pedina di interessi politici superiori e, alla prima avvisaglia di opposizione, passibile di pesanti ritorsioni - non a caso si insiste sul tifo domestico della famiglia. Coinvolgente e stilisticamente pregevole, Tatami è immerso nella realtà politica contemporanea, e il connubio di regia in una fase così critica lo rende ancor più interessante.
Mario Mazzetti