UNA SPIEGAZIONE PER TUTTO
di Gabor Reisz
Nel titolo originale, il vocabolo spiegazione ha per radice magyar, ossia ungherese: lo spirito nazionale diversamente declinato è al centro di questa storia di ordinaria polarizzazione tra visioni contrapposte del mondo, di pretesti e strumentalizzazioni nel tracciare una linea tra “patrioti” e “traditori”. L’esame di maturità coinvolge Abel e la sua amica Janka, di cui il ragazzo è segretamente innamorato. Lei, a sua volta, ha una cotta per l’insegnante di storia, sposato e alle prese con un documentario sulla rivolta del 1956, che fu repressa dai carri armati sovietici. L’esame di storia per Abel è una disfatta. Il giovane insegnante sottolinea come il ragazzo indossi la coccarda, simbolo della marcia celebrativa dell’indipendenza, che i seguaci di Orban indossano anche in altri contesti da veri “patrioti”, e Abel giustifica al padre la bocciatura non tanto a causa della propria impreparazione, quanto come un puntiglio del professore, contrario alla linea politica governativa. Ne nasce un gran polverone, alimentato da una giovane reporter ambiziosa, che surriscalda gli animi e porta ciascuno a cercare una via d’uscita. Al terzo lungometraggio, vincitore di Venezia Orizzonti (il precedente Bad poems fu premiato a Torino), Reisz mette in scena il clima sociale avvelenato, l’incapacità di comunicare oltre il riconoscersi della stessa fazione, di comprendere la vera natura delle proprie azioni: gli otto giorni cruciali sono analizzati da diversi punti di vista, con accelerazioni e un procedere a metà tra Dogma e Nouvelle Vague. Senza i dilemmi etici del miglior cinema romeno, Reisz osserva con sguardo freddo e impietoso, ma non meno tagliente.
Mario Mazzetti